di Aldo Morrone*
Scriveva Helder Camara: ”È meraviglioso che la tua mano aiuti a spiccare il volo… ma che essa non abbia mai l’ardire di prendere il posto delle ali”. Voleva essere un antidoto alla presunzione della solidarietà e della bontà pelosa. È difficile per me ogni volta che torno in Italia, non avvertire un sentimento di “disadattamento”.
In molti Paesi considerati in via di sviluppo – ma di quale sviluppo continuiamo a parlare? –, dove condivido la vita di donne, uomini e bambini che devono affrontare ogni giorno la difficile lotta per sopravvivere, si percepisce che la vita ha un valore che qui da noi sembra perso. La voglia di vivere e il desiderio di conoscenza, di amicizia e di dignità è profondamente diffuso, sembra di respirarlo anche nell’aria, nonostante la dura quotidianità.
Mi vengono alla mente le parole che Augusto Cury scriveva oltre quindici anni fa nel suo libro Diez leyes para ser feliz:
“Essere felici non è avere una vita senza perdite e frustrazioni. Essere felici, significa essere allegri anche se ci sono motivi per piangere. Vivere intensamente, anche in un letto d’ospedale. E non smettere mai di sognare, anche se hai degli incubi. È dialogare con se stessi, anche se la solitudine ti sommerge. È rimanere sempre giovane, anche se i capelli diventano grigi. Raccontare favole ai tuoi figli, anche se hai poco tempo. È amare i genitori, anche se non ci capiscono. Essere felici anche se le cose non vanno bene. Trasformare gli errori in lezioni di vita. Sentire il sapore dell’acqua e il soffio della brezza sulla faccia, l’aroma della terra umida. È saper vivere grandi emozioni nelle piccole cose. E non respingere chi si ama, anche se ci può deludere. È avere amici per condividere le lacrime e le gioie. Essere amici del giorno e amante dei sogni. È ringraziare Dio per lo spettacolo della vita”.
Ecco questo io colgo in Africa, in America Latina, in Medio Oriente dove ogni giorno si respira una voglia di vivere contagiosa. I sorrisi degli uomini, delle donne e dei bambini mi raccontano ogni giorno la passione per la vita. La voglia di tenerezza che semplici carezze possono donare nel letto di ospedali “da campo” dove la professionalità e la sollecitudine di medici e infermieri, provano a restituire salute e serenità a chi fa fatica a vivere, a chi è ferito non solo nel corpo.
E allora sogno un Anno Nuovo che ci aiuti tutti a rinascere ogni giorno, senza pregiudizi e senza rancori. In cui siamo capaci di superare speranze ferite (penso alla sofferenza dei bambini italiani ancora senza cittadinanza) per guardare al futuro con occhi nuovi. Aperti e attenti alle persone più fragili. UnAnno Nuovo per imparare ad amare, senza se e senza ma. Solo chi ama può cambiare il mondo.
Antonio Gramsci scriveva nel 1924 dal carcere, a Giulia:
”Carissima… quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si era voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era possibile amare una collettività, se non si era amato profondamente delle singole creature umane. Non avrebbe ciò avuto un riflesso sulla mia vita di militante, non avrebbe perciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico, la mia qualità di rivoluzionario? Ho pensato molto a tutto ciò e ci ho ripensato in questi giorni, perché ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l’amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato…”.
* Primario infettivologo dell’ospedale San Gallicano di Roma e medico noto in tutto il mondo, da più di trent’anni è impegnato con i migranti e in diversi paesi del Sud del mondo. Autore di articoli e libri, tra cui Lampedusa, porta d’Europa. Un sogno per non morire (Magi edizioni).
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